Anna e Tom, giovani creativi del computer, si trasferiscono insieme a Berlino nel 2011 perché nella grande città un po’ periferica in cui vivono sentono mancare “la libertà di essere se stessi, cioè di inventarsi, cioè di essere diversi da se stessi”. Abitano un appartamento di neutro buon gusto, animato da piante, tappeti, libri, manifesti; sono salutisti e progressisti; e questa città grande, sempre in fermento sembra la dimensione ideale per loro. Sperimentano in coppia i locali del sesso libero e le serate illegali inseguite col cellulare tra i capannoni come in una caccia al tesoro, scelgono gli oggetti e gli amici giusti, e insomma, creano con le loro vite e il loro lavoro e le piccole scelte quotidiane una sorta di mitologia condivisa. Eppure. Eppure questo modello così levigato non basta. Come non basta lo slancio umanitario che li porta a spendersi per gli immigrati nel centro di accoglienza allestito nell’ex aeroporto di Tempelhof; e non basta il culto del cibo. Anche il lavoro comincia a non bastare. C’è chi fra i compagni di avventura torna indietro, mette su famiglia; loro resistono, come prigionieri del mito che hanno arredato tanto bene, prima di cominciare a cercare un altrove più accogliente, se possibile più vero. Una parabola amara, narrata con il distacco quasi feroce dell’osservatore neutro, che segue con minuzia il disegno di vita di tanti ragazzi in tante città del mondo che si assomigliano un po’ tutte, decorativo ma privo di un centro, di un cuore.