Nonostante la presenza di voci critiche, di resistenze anche interne alla Chiesa cattolica, la popolarità di Papa Fran¬cesco è universale: amato dal popolo cristiano per il suo tratto di umanità comprensiva e per la sobrietà del suo stile di vita, è ammirato dagli ambien¬ti «laici» come il Grande Riformatore della Chiesa, chiamato a realizzare una volta per tutte la modernizzazione au¬spicata dal Concilio Vaticano II. E tuttavia, sia l’entusiasmo dei fedeli che l’ammirazione dei «laici» appaio¬no affetti da una strana miopia, che sembra non accorgersi delle contrad¬dizioni vistose del suo magistero. L’e¬saltazione della povertà come «porta del paradiso» si accompagna a una denuncia simultanea della povertà co¬me male estremo, e a una indicazione dei «rimedi» che ricalca vecchi schemi terzomondisti, decisamente poco ag¬giornati. L’«eco-teologia» che si profila nell’enciclica, fondata sul valore assolu¬to dell’ambiente e della sua salvaguar¬dia, appare poi così in sintonia con la carta dei valori tardomoderni e tardo¬capitalisti – la biodiversità come Pa¬trimonio universale da custodire – da ridurre la prospettiva religiosa e spiri¬tuale a un semplice alleato nella guerra «santa» contro i mutamenti climatici e i guasti della modernizzazione. Nell’uno come nell’altro caso quella che si deli¬nea è una radicale svolta post-cristiana, in cui il materialismo pratico e ateo delle nuove moltitudini non sembra costituire un problema.