Sole veniva da un’isola che non aveva mai abitato. Quando era bambina la nonna Lupe le ripeteva: “Ogni figlio di emigranti è partorito come in un trasloco”, e lei era cresciuta in un alveare pieno di lingue e di colpi di martello. Poi, in prima media, un insegnante di musica cieco ne esaminò l’intonazione e per tre anni le impose il silenzio. Da quel momento, da quel granello di ghiaccio che le si era conficcato nel petto, Sole iniziò a cantare. La voce le usciva come un’emorragia, per disubbidienza. E divenne una cantante senza mai incidere un disco, semplicemente perché non c’era niente di lei che si potesse registrare. Dopo l’esordio al Folkstudio di Roma nel 1970, diventò la voce delle cantine. Cantava per le case profanate dell’infanzia, per il silenzio dei ciabattini, nella luce degli ospedali, nell’ombra delle speranze tradite e sconfitte. Per gli amici che avrebbero smesso di suonare. Per la violenza del potere, per la vergogna di tutti e di ciascuno, per il talento e l’amore. E lei nell’amore e nel canto si trasfigurava: invecchiava di colpo, andava sott’acqua, col viso di porcellana. L’avventura di Sole la raccolse Matteo, il suo contrabbassista dall’orecchio assoluto, quando fu troppo tardi per qualunque cosa, anche per le rivoluzioni. Raccoglie insieme i suoi appunti, i fogli di quaderno, testimonianze e racconti, i nastri di una generazione che è dovuta cambiare. E immagina Sole in un giorno di giugno del 2011, su una spiaggia, mentre si allontana e irraggiungibile prende il largo. Completamente libera, come nel primo pezzo che avevano suonato insieme.
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brossura
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