Il 6 febbraio 1875, Raffaele Sonzogno, della dinastia della prestigiosa casa editrice, proprietario e direttore del quotidiano romano “La Capitale”, viene ucciso a coltellate nel suo ufficio. L’autore del delitto è un falegname di Trastevere, Pio Frezza, soprannominato “Spaghetto”. E’ stato colto in flagrante e viene subito arrestato. Il caso sembra di rapida soluzione ma le cose sono ben più complicate. La polizia individua presto i complici, su su fino a Giuseppe Luciani, garibaldino della prima ora, poi uomo politico spregiudicato, amante della moglie di Sonzogno, Emilia, che sta per avere un bambino proprio da lui. La facile pista del delitto passionale però non convince i collaboratori di Sonzogno e tantomeno il giornalista Filandro Colavito che inizia a indagare. Le ragioni del delitto sono in realtà da individuare nello scontro di interessi economici che la campagna di stampa di Sonzogno aveva denunziato più volte. Sono gli anni della trasformazione di Roma capitale e le scelte sul piano regolatore e sull’espansione della città sono decisive; al di là del Tevere la Chiesa possiede vasti terreni, il cui valore si incrementerebbe moltissimo se fossero resi edificabili, e gli appetiti della imminente speculazione edilizia sono enormi. Nella vicenda sono coinvolti, oltre al Vaticano, le banche e i grossi proprietari ma anche la politica: patrioti, liberali e radicali, mentre sugli affari più sinistri si staglia l’ombra del Figlio - cosi è chiamato nel corso del romanzo - di Garibaldi personalmente coinvolto nell’acquisto di vaste aree.
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La memoria
brossura
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